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Quando son partita mi sono detta quella cosa, sgradevole e rude da ammettere, sul non voler frequentare altri Italiani.
Dal mio paese sentivo la necessità di prendere le distanze e le mie radici le avrei volentieri estirpate.

Ho tenuto, in parte, fede a quella promessa fatta a me stessa.
Uscendo con amici provenienti da tutto il mondo e ridendo come una pazza, in un inglese che all’inizio si veniva incontro.
Ho iniziato a capire i loro accenti, imparato parole nuove grazie a loro e persino dai loro errori.

Durante quel nuovo inizio mi sono interrogata molto.
Sull’essere me.

Sono io questa?
Questa che parla male?

Sì, ero io lo stesso.
Venivo fuori.
Magari non capivo che un quarto dell’accento australiano, ma riuscivo sempre a strappare una risata a chi avevo di fronte.
E mi sentivo bene.
Me.

E’ stato bello capire di potercela fare, per davvero, lontana da casa.

Sarebbe mancato però qualcosa di importante senza i miei amici italiani, quelli incontrati all’estero, quelli dei caffè presi insieme e dei fiumi di parole.
In loro ho trovato molto di mio e tanto di più.
E l’ho trovato facilmente.

Senza fatica, senza pensare.

Di recente ho ospitato due amiche italiane che vivono in Spagna da tanti anni.
Una di loro mi ha riportato sul banco quello stesso discorso.
All’estero non ci si va per frequentare altri italiani.

O meglio, l’essere italiani non può essere l’unico collante.

Ed ha aggiunto una frase che mi ha fatta riflettere.
“Italiani non ne cercavamo, però è solo tra di noi che possiamo cantare la sigla di Pollon!”.

Vi sembrerà una cosa da niente.

Ma quanto aveva ragione.

E’ successo a me e forse sarà capitato a voi.
Ho sentito le mie radici urlare dentro di me, in molte occasioni, cercando un’occhiata immediata e complice.

Avrei voluto parlare dei film che ho visto, della musica che ho cantato in macchina, dei programmi radio che mi accompagnavano al mattino.
Di quella che sono stata per trent’anni.

Senza stare a spiegare l’inspiegabile.
In un botta e risposta veloce e complice.

E invece le uniche cose che qui immaginano un po’ di me, delle mie radici intendo, sono quelle relative al cibo.
Italian food, so yummy, pizza, lasagna e mac&cheese.

Noi Italiani siamo un popolo molto amato all’estero.
Siamo fortunati per questo, conoscono qualcosa di noi.

Quel qualcosa non mi basta.
Certe volte non mi basta.

Di Venditti che canta “Notte prima degli esami” non sanno nulla, nulla di quella melodia in radio ogni anno, nel mese di luglio, a salutare quel percorso che per i liceali si conclude ed in qualche modo inizia.
Sono di Roma e loro mi immaginano al Colosseo, un pezzo di storia che poche volte ha incrociato il mio camminare, ignorano invece la parte di me che conosce i film di Sordi, che si ricorda quelli in cui Verdone era giovane.
Non sanno che gli amici del Nord Italia per prendermi in giro mi dicono e lo pronunciano pure male.

Ignorano i tormentoni, i nostri detti, i nostri modi di dire.
Ignorano cosa fosse la quotidianità e la cultura condivisa di .

Le pubblicità che ti entrano in testa o una canzone odiosa come quella del “Pulcino Pio”, un libro di cui tutti parlano.
Persino Melissa P.
Qui non ne sanno niente.

E neanche di Belen, per fortuna.

Stando qui ho imparato tanto altro, ovviamente.
Ho imparato ad essere umile, curiosa ed aperta.
Ed ho imparato qualcosa di loro.
Dei loro giochi di parole, della loro cultura, dei loro modi di dire.

Questo è bello, incredibile, meraviglioso.

Ma come ho già detto, a volte non basta e vi mancheranno gli appigli, le basi in comune.
L’immediato.
La complicità, quella basica.

Quella che avete solo per il fatto di esser nati nello stesso posto del mondo.
Condividendo per questo qualcosa di sottovalutato ed immenso.

All’estero, dall’altra parte, il Natale sarà diverso, perché lo sarà, ma in qualche modo ci sarà.
Perderete però la Pasquetta, così come i discorsi sul tempo pazzerello e non farete nessuna lista della spesa per la grigliata con gli amici.
Non spingerete il carrello pieno per supermercati presi d’assalto alla vigilia.

Il primo maggio non sarete in piazza per il concertone e non avrete il day off al lavoro.
E non aspetterete di vedere dove capita il 25 Aprile, per chiedere il giorno e fare ponte.

Il carnevale non esisterà, così come non esisteranno frappe e castagnole.
O bignè di San Giuseppe.

In Italia, un tempo, ero alla scrivania con la mia collega preferita.
Tutte e due con il foglio delle ferie compilato per la stessa settimana estiva, in attesa di un’approvazione che temevamo non arrivasse.
Avevamo lo stesso ruolo e dentro di noi saliva la rabbia di fronte alla possibilità di non avere la settimana di agosto, quella che si incrocia con il 15, libera.
Quell’anno dopotutto ci andò bene e ricevemmo la grazia, le agognate ferie approvate ad entrambe.

Oggi sono qui, oggi sto scrivendo dalla Scozia.
Ed è il 15 Agosto.
Facebook mi ricorda di non aver passato un solo ferragosto in casa o al lavoro, riproponendo immagini di me in costume da bagno, sorridendo da qualche parte nel mondo.
Abbronzata e con gli occhiali da sole grandi.

Oggi invece sono qui nella città di Aberdeen, nella Scozia alta.
Ho le braccia scoperte, ma muoio di freddo.
Prima ho alzato gli occhi da quello che stavo facendo e ho pensato: “Dio Mio, è ferragosto”.

Ed io sto lavorando e nessuno attorno a me sa cosa voglia dire questo giorno di agosto.

Per quelli come me, lì dove ero una volta.

Serena, Scozia

2 Comments

  1. Elle

    Che bell’articolo! Capisco lo spaesamento ma è bellissimo ambientarsi in un altro paese restando legati alle proprie radici!

    1. trentazero

      Si, non puoi cancellare quello che sei stato per, nel mio caso, trent’anni. 🙂

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