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lavorare all'estero, lavorare in australia, lavorare in scozia, lasciare l'italia per ricominciare, faccio come mi pare, facciocomemipare, facciocomemipare.com, faccio come mi pare blog, blog expatUn giorno, una mia insegnante, mi raccontò di come era iniziata la sua carriera.
Lei voleva viaggiare. Da sempre, era il suo unico obiettivo nella sua vita di ragazza. Per questo iniziò a lavorare, in una America che quel lavoro al femminile non l’aveva ancora mai visto, come pizzaiola per mantenersi agli studi durante l’Università.
Fu dura, ma con la laurea sotto braccio iniziò a viaggiare per il mondo. Passò per il Canada, per la mia amata Australia ed infine venne ad insegnare in Europa.

Eravamo al primo anno di Università quando ci raccontò questa storia ed entrambi, mio marito ed io, per ricominciare avevamo lavorato come pizzaioli, cuochi, camerieri e chef.
Entrammo in sintonia con lei.
Per noi, che per ricominciare all’estero abbiamo fatto quello che c’era da fare sapendo che non ci sarebbe stato nessun paracadute in caso di caduta e che eravamo soli, il racconto della nostra insegnante è stato fondamentale.

Abbiamo avuto bisogno di speranza quando nessuno credeva in noi, quando portavo piatti lavorando part-time in Australia e pensavo a per quanto quella sarebbe stata la mia professione.
Abbiamo avuto bisogno di speranza quando abbiamo lavorato più di sessanta ore alla settimana per mesi perché non c’erano alternative, bruciandoci l’estate qui in Scozia perché dovevamo pagare la nostra permanenza qui e le tasse in Italia.

Lavorare sessanta ore è una cosa che non puoi spiegare, la fatica non la spieghi e non interessa a chi non la sente, non puoi spiegare la testa che ti piange al mattino ed il cuore che a volte ti manda un segnale battendo strano nel petto che vuol dire “Rallenta!”

No, per due anni non abbiamo potuto rallentare e la fatica ci ha pesato addosso come una bizzarra coperta. Ancora di più da quando abbiamo iniziato a frequentare l’Università e allora il tempo per rilassarsi non c’era proprio più.

Ci sono stati momenti nei quali, senza esser drammatica, ho avuto paura per la salute di mio marito, che tornava alle 2 del mattino e alle 6 era di nuovo fuori per il suo doppio turno e mi è venuto da piangere. Da piangere per me, al pensiero del mio quarto giorno di fila di doppi turni da quattordici ore e mezza.
E’ stata così dura e certamente non è ancora finita. Durerà finchè saremo ancora studenti che all’estero non hanno nessuno.

Lavorare e basta, invece, era facile.

In Australia ero libera di uscire ogni sera dopo il lavoro, non per fare chissà cosa, ma per sgranchire le gambe, respirare l’aria fresca della notte e soprattutto per vedere i miei amici, bere e parlare con loro in posti sempre diversi.
E’ stata una esperienza incredibile e mi manca quella spensieratezza, mi manca da morire.

Da quando ho iniziato l’Università, la spensieratezza ha lasciato il posto a ritmi serrati che conosce bene chi ha studiato nel sistema britannico.
Se hai due ore libere non lo sono veramente: c’è un progetto da fare o l’autobus da prendere per andare al lavoro.
Il resto del tempo io riesco solo a morire sul divano, non vedo altre alternative per sopravvivere al continuo incastrare tutto. Eppure mi sento bene con me stessa, mi sento grande.

Di recente alcune cose sono cambiate e sono cambiate in meglio, per un volta.
Ci siamo liberati di alcune preoccupazioni che ci toglievano il sonno, questioni legate all’Italia, e finalmente ho detto addio a lavori massacranti trovando un posto nel settore dell’IT.
Un part-time perfetto da conciliare con le lezioni, grandioso per fare pratica, mantenermi e creare il mio curriculum così come non avrei sperato.
Non così in fretta e non mentre sto ancora studiando.

Per quasi due anni ho dovuto dire di no a qualsiasi invito ad uscire nel dopocena, avevo sempre l’allarme della sveglia puntato prima delle 7 del mattino e ad aspettarmi lavori che non puoi decisamente fare con una sbornia in atto.

Ma ecco, ce l’ho fatta e sono tornata una monday person, così come ero in Italia. Non lavoro più nel week-end e non lavoro più in orari assurdi e fino al massacro.

Dopo 20 mesi dal mio arrivo ad Aberdeen sono finalmente potuta uscire a bere con le mie amiche. Dopo venti mesi!
Sì, c’erano state delle cene prima, ma la spensieratezza di dire “questa sera non voglio pensare a niente” non l’ho avuta per venti mesi e mi mancava, dannatamente.
Quella sera fuori, con il vino che scorreva nelle vene ed il saltare e ballare in mezzo a scozzesi piuttosto ubriachi, mi sono sentita così felice di essere riuscita, finalmente, ad ottenere quella notte solo per me, con le mie donne, a ridere e basta.

Ottenere è la parola che mi viene in mente scrivendo questo post.

Sono partita dall’Italia in una calda giornata del primo Luglio del 2014 ed ero pronta a tutto per non dover tornare indietro, ma mai avrei creduto di poter conquistare così tanto, dimentica della fatica, focalizzata sugli steps necessari per salire in cima e di potermi godere, finalmente ed in così poco tempo, un pezzo di paesaggio.

Ed è bene che si sappia: all’estero come in Italia, nessuno ti regala niente.

Per costruire devi lavorare tanto e sodo e l’obiettivo ce lo devi avere sempre chiaro in testa.
In quel caso, io credo che il tuo sacrificio verrà ripagato.

Serena, Scozia

3 Comments

  1. […] me la Scozia è stata generosa, mi ha dato la possibilità di studiare gratuitamente e di trovare un buon lavoro ad Edimburgo. Se non fosse stato per l’università però non sarei durata qui ad Aberdeen, non è […]

  2. […] Ma a parte questo, ero pronta a tutto e penso che la cosa abbia pagato, infine, o che almeno ci abbia fatti arrivare fin qui, oggi, con una distinzione dietro l’altra all’Università ed un lavoro che piace ad entrambi. […]

  3. amalia occhiati

    e vero, conosco tanti amici che per lavorare sono dovuti partire. Io trovo questa cosa molto triste.

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