Perché pensare ad una esperienza come Au Pair ed in cosa consiste questo programma di scambio culturale? La ragazza alla pari viene ospitata da una famiglia con bambini ed in cambio di vitto, alloggio e di uno stipendio bada ai piccoli e si occupa dei lavori di casa. Attenzione però: non è una domestica sottopagata bensì qualcuno che approfitta dell’opportunità di vivere all’estero ed imparare la lingua e che ha diritto a giorni di riposo e orari che devono essere ben definiti.
Se siete capitati fin qui perché stavate cercando l’ispirazione per partire, ecco, le storie che leggerete potrebbero proprio fare al caso vostro: Natalia ci racconterà la sua esperienza da Au Pair in Spagna, Elena ed Elisa negli USA e Raffaella dall’Irlanda. Come sempre su queste pagine le storie saranno diverse ma anche con delle similitudini e le ragazze intervistate vi daranno anche delle dritte sulle agenzie. Buona lettura!
Ciao, raccontaci di te e di cosa ti ha spinto a cercare un lavoro come Au Pair, ragazza alla pari.

Ciao, sono Natalia, ho 23 anni e sono una studentessa di Scienze dell’educazione. Tre anni fa ho finito il liceo, ma non ero sicura di cosa volessi fare in futuro, quindi ho aspettato un bel po’ prima di andare all’università. In quel periodo non sapevo bene cosa fare, ma poi improvvisamente (come tutte le cose belle che mi sono successe nella vita) ho sentito parlare di questo mondo Au Pair, dato che amo viaggiare e un’esperienza nuova era proprio quello che stavo cercando, ho iniziato a cercare ed informarmi. Dopo qualche mese sono riuscita a partire e fare l’esperienza di Au Pair in Spagna per 4 mesi.

Ciao a tutti! Sono Elisa, ho 24 anni e sono piemontese. vivo negli USA come ragazza alla pari da poco più di un anno. Attualmente sono a San Francisco, fino ad un mese fa vivevo a Boston in un’altra famiglia. A settembre 2019 sono partita per questa magnifica esperienza che mi sta permettendo di viaggiare, imparare una nuova lingua e cultura e conoscere tante persone nuove ma soprattutto di capire me stessa e cosa voglio nella vita. Quest’ultimi sono i motivi per cui ho deciso di intraprendere questo percorso. Dopo la laurea triennale in biotecnologie (ottobre 2018), mi sentivo totalmente persa e demotivata, non avevo un obiettivo. La vita da paesino iniziava a starmi stretta, mi sentivo in trappola ed ero stanca della routine. Mi sono fermata a pensare e mi sono chiesta che cosa volessi fare. Quattro sono state le parole che ho scritto sulle note del telefono: viaggiare, USA, indipendenza economica. Conoscevo già il programma di ragazza alla pari, e ho pensato che fosse perfetto per me. Questo programma aveva tutte le caratteristiche che stavo cercando! E soprattutto io amo i bambini e avevo accumulate diverse ore di esperienza tra animatrice in oratorio, babysitter e ripetizioni/ aiuto compiti. E quindi eccomi qui negli Stati Uniti!

Mi chiamo Raffaella. Cominciamo subito con dire che la mia esperienza è, direi, datata: parliamo del periodo ottobre 1999 – aprile 2000 ed ha avuto luogo nella contea di Meath, Repubblica d’Irlanda.
Alla fine della quinta superiore ho deciso di fare un po’ di domande alle agenzie di au-pair. Mi sarebbe piaciuto andare all’università ma non potendo permettermelo, ho deciso di contattare delle agenzie per poter fare una esperienza breve ma che mi consentisse di migliorare il mio inglese, in modo da rientrare dopo 6 mesi e mettermi alla ricerca di un lavoro.
Ho mandato le richieste solo ad agenzie che non chiedessero la commissione alla ragazza. Non avendo mai avuto esperienze con bambini o avendo fatto la babysitter, temevo nessuno mi chiamasse, invece un giorno mi ha contattata una famiglia irlandese con cui ho iniziato una corrispondenza. Si parla di fax perché non avevo il computer a casa! Ho detto di sì subito a loro, appunto perché temevo che la mia mancanza di esperienza pesasse ed il fatto che i ragazzi avessero 8 e 18 anni (quindi il più grande aveva la mia età) e la ragazza 15, mi ha fatto pensare che a questa famiglia non servisse la classica Au Pair-babysitter esperta in neonati o bambini piccoli. In effetti era così, loro avevano più che altro bisogno di una persona che mantenesse pulita la casa, desse una mano con i pasti (io all’epoca ero totalmente disinteressata alla cucina, ma insomma si trattava di pelare patate ed affettare verze più che altro) e che stirasse… eh sì, tante tante tante camicie, praticamente 10 a settimana tra padre e figlio. Quale ragazzo va all’università in camicia?!

Ciao, mi chiamo Elena e attualmente ho 28 anni ma quando partì per gli Stati Uniti ne avevo 23. Sembra una vita fa. Ero all’ultimo anno di Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bergamo, mi mancava un esame per laurearmi e avevo già pianificato che me ne sarei andata. Volevo vivere un’esperienza all’estero e dato che non avevo fatto l’Erasmus questa mi sembrava l’opzione migliore. Potevo viaggiare e lavorare allo stesso tempo. Prima di partire ero in un periodo un po’ triste della mia vita, partire era l’unica opzione per evitare di affogare nei miei stessi pensieri. Partire per gli Stati Uniti mi ha salvato la vita. Il punto di svolta della mia vita. Vivevo a Madison in Wisconsin, nel nord degli USA, a 3 ore in macchina da Chicago.
Come si diventa Au Pair? Ti sei affidata a siti o agenzie che raccomanderesti?

Non si diventa Au Pair, ci si butta in questa esperienza e la si vive al meglio. Ho usato il sito Au Pair World, che è strutturato molto bene, perché facilita la comunicazione tra Au Pair host families, ma anche la ricerca di host families a cui scrivere. Inizialmente pensavo di riuscire a partire subito con la prima famiglia che avevo trovato, ma poi mi sono arrivate un sacco di rinunce. Ero giù di morale, però parlando con ragazze che hanno già fatto questa esperienza, mi han detto che è normale e ci vuole un po’ di tempo per trovare una host family e partire. Quindi ragazze non demoralizzatevi!

Per diventare Au Pair negli Stati Uniti hai bisogno di affidarti ad un’agenzia in quanto hai bisogno di uno sponsor per questioni burocratiche (rilascio del visto). Per fare l’Au Pairin Europa o Australia non hai bisogno di agenzia. Ci sono dei siti online o gruppi Facebook, l’iter processuale è molto più semplice ma allo stesso tempo si è meno tutelati in quanto non viene considerato un lavoro vero e proprio. Tornando alla questione agenzia, io mi sono affidata a Cultural Care, l’agenzia più famosa e grande per quanto riguarda questo programma. Consiglio caldamente di affidarsi ad un’agenzia grande, questo perché significa avere più scelta nella fase di match della famiglia ospitante. La seconda agenzia più conosciuta è Au Pair in America. Personalmente mi sono trovata molto bene con Cultural Care, ho ricevuto un supporto adeguato in tutte le fasi del mio percorso, tornassi indietro ripartirei con loro.

Per partire come au-pair negli Stati Uniti l’unica opzione è attraverso agenzia. Altre opzioni che ti vengono proposte come tali sono solo truffa. Io mi sono affidata a Cultural Care Au Pair, una delle migliori e più grandi agenzie di au-pair negli Stati Uniti. Io la raccomanderei al 100% perché nonostante abbia un costo iniziale elevato ti permette di vivere un’esperienza tranquilla (almeno nella mia esperienza).
Quali costi deve mettere in conto chi vuole lavorare come ragazza alla pari? E quanto si guadagna?

Inizialmente bisogna trovare il volo di andata, che può costare tanto, ma cercando nei periodi giusti si può trovare qualcosa di economico, e poi ovviamente in più i vari costi di trasporto per arrivare all’aeroporto o nel posto dove abita la host family. Non ho usato agenzie, quindi non saprei riferire i costi. Consiglierei, però, di portare qualche soldo con sé, giusto per essere sicuri di poter sopravvivere il primo mese o le prime settimane, se si viene pagati settimanalmente. Per quanto riguarda la paga, dipende generalmente dal paese, io essendo stata in Spagna ricevevo 70 euro a settimana e generalmente in Spagna la cifra si aggira intorno a quei numeri, 70/80 euro.

Per quanto riguarda i costi, cultural care è anche l’agenzia più costosa. L’iscrizione al programma costa 1500€ e comprende volo di andata e ritorno, assicurazione, supporto pre-partenza e durante il soggiorno negli Stati Uniti. Bisogna mettere in conto altri 500€ per le pratiche burocratiche tipo passaporto, visto, patente internazionale, certificato medico, casellario giudiziario penale, test TBC. L’agenzia si paga SOLO quando si trova la famiglia. Non prima, quindi non hai nessun vincolo se cambi idea, cancelli il profilo e non devi pagare nessuna penale. Esistono altre agenzie più economiche come ad esempio Au Pair in America che costa intorno agli 800€ e offre lo stesso servizio. Le agenzie ufficiali riconosciute dallo Stato americano sono 15 e alcune sono anche gratuite. Il problema è che non offrono un servizio in italiano, quindi se qualcuno ha difficoltà con la lingua, le sconsiglio. Una ragazza alla pari ha un salario minimo settimanale di $195.75 più vitto e alloggio incluso. Alcune famiglie pagano di più. Ma sono la minoranza.

Riguardo ai costi ti direi che bisogna tenere presente:
– volo A/R (+ eventuale volo sotto le feste: diverse au-pair rientravano per Natale, ma ovviamente sono accordi che si prendono fin da subito con la famiglia, magari hanno necessità specifiche)
– eventuale costo agenzia. Non so come funzioni adesso, io tra tutte quelle a cui avevo scritto ho avuto 2 chiamate (oltre alla famiglia che mi ha ospitata, aveva chiamato solo un’altra quando avevo già preso accordi con loro), quindi non so se se quelle a pagamento abbiano effettivamente un maggiore tasso di risposta, e quindi, per chi si candida, magari anche la possibilità di scegliere fra più famiglie
– pasti fuori casa/trasporti/extra. Quanti pasti farai fuori casa? Nel giorno libero intendi andare in giro a vedere qualche posto? Hai bisogno di prendere i mezzi per andare a scuola/centro città?
– abbigliamento, che se stai via per 6 mesi e non ti porti 4 valigie, una volta al Nord è possibile che ti renda conto che hai bisogno di qualche capo in più di quelli con cui sei partita. A quel punto ci sono quindi due soluzioni: 1) Ti fai spedire da casa quel maglione in più, magari corredato da un pandoro 2) Ti compri del vestiario tipo pile/tutona super pesante perché la casa in mezzo alla campagna irlandese dove abiti non è calda come l’appartamento dove hai sempre vissuto (ogni riferimento è puramente casuale!)
– corso di inglese + eventuale esame Cambridge.

Premessa: io vi parlo di 5 anni fa, però credo che in linea di massima i prezzi rimangono quelli. Il costo iniziale si aggira attorno ai 1000€.
Dopo tutto il processo di selezione, e solo quando avrai incontrato la tua famiglia americana dovrai pagare all’agenzia 500€ dove sono inclusi i voli (andata e ritorno) e il periodo di 3 giorni alla Training School. Ovviamente tutto è scritto sotto forma di contratto e per ottenere il volo di ritorno pagato devi finire il programma e ottenere 6 crediti per anno (perché si può estendere il visto a due anni massimo e lì rinnovi a 400€ ma normalmente lo paga la famiglia americana) in un’università americana.
A te sono accollate inoltre le spese dell’assicurazione medica e del visto che in totale sarebbero altri 500€ più o meno.
Si guadagnano 200€ alla settimana, 800€ al mese. La famiglia può scegliere se pagarti a settimana o al mese.
Come è la tua giornata tipo da Au Pair?

Mi svegliavo verso le 7, per aiutare la madre dei bambini a preparare la colazione, nel frattempo lei andava a svegliarli mettendo delle canzoni che gli piacevano (una cosa che mi era piaciuta un sacco di quella famiglia, adoravano la musica e la ascoltavano molto spesso). Dopo colazione i genitori portavano i bambini a scuola e mi lasciavano in città perché avevo il corso di Spagnolo, dove ho conosciuto tante altre Au Pair ho fatto amicizia. Dopo aver fatto un giro in città, tornavo a casa per pranzo. Avevo un’oretta libera, che spesso utilizzavo per uscire fuori con il cane e nel pomeriggio presto i bambini tornavano a casa. A seconda del giorno facevamo qualcosa di diverso, li accompagnavo nelle attività a scuola, o alle attività sportive, oppure li aiutavo con i compiti. La sera mangiavo prima con i bambini, perché i genitori mangiavano più tardi e giocavamo a qualche gioco in scatola o fuori nel giardino (I bambini erano abbastanza grandi 9 e 11 anni, quindi generalmente erano piuttosto autosufficienti).

Ogni Au Pair ha una giornata tipo differente. Gli orari di lavoro cambiano in base alle esigenze della famiglia che ti ospita. Di regola le Au Pair non possono lavorare più di 10 ore al giorno e non più di 45 ore a settimana e devono avere un weekend libero al mese e un un giorno e mezzo consecutivo off alla settimana. Attualmente lavoro circa 30 ore settimanali (da lunedì a venerdì) e mi occupo di 4 bambini: una ragazzina di 12 , due gemelle di 9 e un bimbo di 5. La mia host mom è casalinga quindi ci dividiamo i compiti e i bambini. È un lavoro di squadra. A causa del covid sono cambiati un po’ i piani per tutti, quindi i bambini non vanno a scuola fisicamente ma hanno le lezioni online tutte le mattine e li segue la mamma. Quindi io inizio a lavorare intorno a mezzogiorno e preparo il pranzo per tutti e 4. Il pomeriggio intrattengo il più piccino mentre la mamma porta le bambine alle varie attività (i bambini americani sono molto impegnati!). La mia giornata termina alle 18. Nella famiglia ospitante precedente avevo una situazione simile, host mom casalinga e 3 bambini. Lavoravo dal pomeriggio fino alla sera con la differenza che facevo anche 4 ore durante il weekend (sabato mattina o domenica pomeriggio).

Io ero l’au-pair numero 19, perché ne avevano avuta una all’anno da quando era nato il loro primogenito, questo vuol dire che mi hanno dato una tabella delle cose da fare (per esempio: passare l’aspirapolvere 2 volte a settimana, pulire i pavimenti 1 volta a settimana, etc.) ed erano molto abituati quindi a gestire una au-pair. Mi hanno portata a teatro con loro una volta a Natale e poi hanno mandato noi ragazzi “grandi” ad un altro spettacolo da soli, però per esempio alcune sere invitavano gli amici a cena quando io non c’ero o non sono mai uscita con i figli e i loro amici, quindi credo che negli anni avessero capito come bilanciare il fatto di renderti partecipe della vita famigliare ma anche di avere i loro spazi.
La cosa che mi è pesata di più, oltre ovviamente alla lontananza da casa e al fatto di trascorrere il compleanno ed il Natale lontano da casa, è stato il fatto che la casa era fuori dal paese (e questo non era stato ben specificato prima, erano state scritte frasi tipo “siamo ben contenti di portarti in paese tutte le volte che ti serve” e all’epoca non c’era Google Maps o era agli albori), quindi per ogni spostamento bisognava contare su di loro. Questo ha fatto che sì che anche quelle serate che in teoria dovevano essere libere, col fatto che alla fine restavo in casa, non lo erano molto.
Ho poi anche scoperto che loro si erano trasferiti da poco tempo e fino a pochi mesi prima avevano vissuto nei sobborghi di Dublino ma la loro au-pair, a causa dello spostamento (e boh, forse anche di una casa più grande da pulire?) se n’era andata prima del tempo, quindi ho anche capito perché erano rimasti vaghi sul tema ubicazione.

La mia giornata tipo dipendeva se c’era scuola o meno. Durante il periodo scolastico avevo tutta la mattina libera, iniziavo a lavorare alle 2:30 quando andavo a prendere a scuola il più piccolo che aveva 6 anni. Alle 3 arrivavano anche le due più grandi (11 e 13 anni) e tutto il pomeriggio lo passavo con loro: compiti, attività, corsi ecc. Preparavo la cena e dipendendo un po’ da quanto fossero occupati i genitori finivo di lavorare o alle 7 o alle 9 di sera. Avevo poi tutta la sera libera. Durante l’estate iniziavo a lavorare alle 9, passavo tutto il giorno con i bambini. Potevamo andare in piscina, a un parco, a fare delle escursioni, allo zoo. Finivo di lavorare verso le 6 quando arrivava il papà a casa.
Come era il tuo rapporto con i bambini che seguivi come ragazza alla pari? E con i genitori?

I bambini erano molto energici, super creativi e anche dolci. Riuscivo a trovare attività da fare insieme, ad esempio alla bambina piaceva ballare come a me, e al bambino piaceva giocare a basket, che ho un pochino imparato. A volte era difficile stare con tutte e due perché litigavano, però in qualche modo si riusciva a trovare una soluzione. I genitori erano molto gentili e disponibili nel caso avessi bisogno di qualcosa, ad esempio quando volevo andare a fare una gita con una mia amica. Il padre dei bambini non parlava molto inglese, infatti parlavo fondamentalmente con la madre. Ho anche conosciuto la nonna dei bambini che è stata gentilissima e mi ha fatto una mini lezione di pittura!

Il rapporto con i bambini è bellissimo in entrambe le famiglie ospitanti. Sono bambini, se ci sai fare è facile interagire con loro. Mi vedono come la loro amica, sorella maggiore. Sono parte della famiglia. Il rapporto con i genitori a volte è un po’ più complicato. Nella situazione precedente, vivevo con la famiglia ospitante, si è creato un legame bellissimo, siamo diventati proprio una famiglia, ci sentiamo tutt’ora e stanno pianificando di venire a trovarmi in Italia. Attualmente invece la situazione è differente, ho un appartamento privato con cucina e bagno. Vivo praticamente da sola e vado nella main house solo per lavorare. Quindi è facile comprendere che con i genitori si è instaurato un rapporto molto lavorativo, ci vediamo solo per parlare dei bambini. Ogni situazione ha i suoi pro e i suoi contro. Ora ho molta più indipendenza ma la parte dello scambio culturale è venuto a mancare, cosa che invece era un punto forte nella famiglia precedente. Bisogna sapersi adattare! In ogni caso, se ci si trovare male c’è sempre l’uscita di emergenza: il rematch! Ovvero il processo che serve per farti cambiare famiglia ospitante (senza tornare in Italia ovviamente). Anche questi costi sono coperti dall’agenzia.

Rapporto con i genitori: particolare perché in fondo vivevo con i miei datori di lavoro, quindi se è pur vero che mi coinvolgevano in alcune attività, non sei loro amica, e per di più sanno che dopo 6 mesi te ne andrai, quindi il rapporto in alcuni momenti resta, direi, distaccato.
Rapporto con i figli: il piccolo praticamente non mi parlava! Era viziato ed attaccatissimo alla sorella ed alla madre, gli piaceva giocare con dinosauri e con i pupazzetti dal wrestling, che propriamente non sono il mio pane, in più adorava correggermi la pronuncia dei protagonisti di Harry Potter, ed infatti mi è nata una repulsione nei confronti della saga. Per fortuna dopo un po’ la madre ha pensato di dispensarmi dalla lettura serale. Con gli altri due i rapporti erano buoni anche perché, devo dirti il vero, non è che ci si vedesse poi molto: la ragazza era a scuola fino al tardo pomeriggio-sera a Dublino così come suo fratello in università, quindi li vedevo solo la sera ed il sabato (la domenica avevo la giornata libera, ci si incrociava al mattino e poi rientravo che loro erano già a dormire e io avevo la tv tutta per me, così potevo guardare ER!

Il rapporto sia con genitori che con i bambini era fenomenale. Andavo d’accordo con tutti della famiglia, al punto che estendere un altro anno con loro è stato molto facile. Io volevo rimanere e loro volevano che rimanessi. Per i genitori ero come una sorella minore mentre per i bambini come una sorella maggiore. Credo che alla base ci debba essere molta comunicazione, sia con i genitori che con i bambini. Una volta stabilite le basi è tutto più facile.
Cosa facevi nel tuo tempo libero? Sei riuscita ad imparare la lingua?

Ho avuto la fortuna di trovarmi in una cittadina dove si trovavano tante altre Au Pair, e anche gente in Erasmus con l’università, infatti quando riuscivo uscivo con loro e sono ancora in contatto con alcune di loro. Sono anche riuscita a viaggiare un po’ nella zona, e sono davvero contentissima, perché sono riuscita a scoprire una parte della Spagna che non so se riuscirò ancora a vedere. Ho fatto un corso di base dello Spagnolo, che è servito, ma la maggior parte del lessico che conosco penso di averlo imparato parlando con la gente che ho conosciuto.

Nel mio tempo libero ho sempre cercato di viaggiare e di esplorare. Durante il primo anno, lavoravo 3 weekend al mese, e questo mi ha un po’ limitato ma sono riuscita a viaggiare un pochino grazie anche al fatto che abbiamo diritto a 2 settimane di ferie pagate all’anno. Quando non viaggiavo, uscivo con gli amici, shopping, cinema, pub e ristoranti. Poi è arrivato il covid a cambiare un po’ le cose. Attualmente, nel mio tempo libero mi ritrovo al parco o in spiaggia con gli amici. Sono fortunata perche abitando in California il clima ci permette di stare all’aperto. Per quanto riguarda l’inglese, sono migliorata tantissimo! Vuoi o non vuoi l’inglese lo si impara stando a contatto tutti i giorni con persone americane. Inoltre, c’e la possibilità di partecipare a diversi corsi di lingua!

Nel mio tempo libero andavo in giro con le ragazze del corso di inglese, la sera dopo il corso passeggiavamo per il centro o andavamo al cinema, la domenica visitavamo posti al massimo ad un’ora da Dublino (anche perché il primo autobus era alle 10, quindi arrivavo a Dublino alle 11). La mia host family si era appunto trasferita da pochi mesi e non avevano amici lì in paese. Non penso neanche che frequentassero uno dei pub che c’erano in piazza. Ed in fondo io fatto lo stesso: una volta che mi portavano alla fermata dell’autobus nella piazza del paese, non è che mi fermassi lì, voglio dire, c’era una pizzeria per asporto, 2 o 3 pub, chiesa, ufficio postale e poco altro. Prendevo l’autobus ed andavo a Dublino o al centro commerciale che era a metà strada, questo ha fatto sì che in effetti frequentassi solamente ragazze au-pair della scuola, non c’è stata una sorta di integrazione con il paesino dove ho vissuto.
Il motivo principale per me per andare in Irlanda era quello di portare il mio inglese ad un livello superiore rispetto a quello dato dagli studi scolastici e devo dire che ci sono riuscita. Direi che gli ingredienti sono stati 3:
– la famiglia non parlava italiano e non dimostrava nessun interesse nell’imparare nemmeno qualche parola
– mi sono iscritta subito ad un corso di inglese, che ho frequentato per 5 mesi, ed ho anche sostenuto l’FCE, così da poter effettivamente dare un valore al corso una volta rientrata (spoiler: nelle realtà aziendali dove ho fatto i colloqui in seguito, nella mia zona, non sapevano neanche cosa fosse)
– ho avuto la fortuna di non avere in classe compagne italiane, ho approfittato quindi per frequentare le ragazze spagnole e francesi del mio corso… che risate però quando il nostro insegnante Andrew diceva una parola in inglese che non conoscevamo: qualcuna magari la capiva e tra francese, italiano e spagnolo riuscivamo a venirne fuori! E che fatica capire l’inglese con l’accento francese!

Il tempo libero me lo sono goduta tantissimo. A Madison, Wisconsin, dove vivevo io, c’erano tante possibilità essendo una città universitaria. Feste, serate a passare di bar in bar, birra vista lago e tante gite fuori porta. Avevo molti weekend liberi e mi sono permessa di viaggiare molto, ho visitato 25 stati su 50. Assurdo. Sono persino andata alle Hawaii. L’inglese già lo parlavo abbastanza bene, ma devo ammettere che è migliorato moltissimo. Praticamente passavo tutto il tempo parlando in inglese, impossibile non farsi l’orecchio.
Puoi raccontarci una episodio bello, uno legato ad una esperienza negativa ed uno assolutamente assurdo del tuo periodo da Au Pair?

Un episodio bello è stato quando un giorno, un mese dopo che sono arrivata, stavo facendo qualcosa, non ricordo cosa, e ad un certo punto si presenta la bambina con un regalo per me: era un cartoncino a forma di cuore colorato, con sopra la scritta in spagnolo “Sei la Au Pair migliore del mondo”. È stata dolcissima e anche se aveva scritto Au Pair in modo sbagliato, mi si era sciolto il cuore.
Un episodio brutto forse è stato quando un giorno i bambini stavano litigando per qualche motivo, io ho cercato di farli riconciliare in qualche modo, ma non riuscivo. Loro continuando a litigare e io non sapendo come aiutarli, sono scoppiata in lacrime, e forse (per fortuna) quello li ha aiutati a calmarsi e far pace in qualche modo.
Mentre qualcosa di strano o assurdo, succedeva in alcuni momenti quando la host family aveva qualcosa in programma, magari per la serata, e senza dirmi niente in anticipo, sul momento mi dicevano che avevo la serata libera e di uscire se volevo. Il punto è che la loro casa era fuori città e io ero senza macchina, quindi mi veniva difficile organizzarmi all’ultimo con corriere che c’erano fino ad una certa ora e le ragazze che avevo conosciuto erano per la maggior parte Au Pair, quindi difficilmente anche loro erano libere la stessa sera.

Episodio bello: è difficile sceglierne uno! È stato un anno pazzesco e continua ad esserlo! Ci sono troppi momenti positivi ma credo che mi porterò per sempre nel cuore il giorno in cui i miei bambini (quelli della famiglia precedente) hanno videochiamato i miei nonni italiani e gli hanno detto “ciao nonni” (Ho sempre cercato di insegnare un po’ di italiano ai miei bambini). Mi si è sciolto il cuore. In quel momento ho capito che questa esperienza è molto di più di uno scambio culturale o di un lavoro, questa esperienza, se trovi la famiglia giusta, ti cambia la vita. Io ora ho una famiglia in più e 4 nonni in più. I miei nonni in Italia dicono di avere 3 nipoti in più… è pazzesco quello che siamo riusciti a costruire e sarà per sempre. Episodio brutto: fortunatamente gli episodi brutti sono stati pochi, ovviamente i momenti di nostalgia fanno parte del gioco ma non ho mai pensato di mollare. Forse il periodo del covid e stato il più difficile, il pensiero di casa e non avere distrazioni. Però è successo che ad ottobre 2019 sono scivolata dalle scale esterne in marmo in giardino e mi sono fatta male al piede, per fortuna niente di grave ma posso raccontare di aver testato il sistema sanitario americano! Il giorno dopo il fattaccio sarei dovuta partire per New York, ero triste per quello. Episodio assurdo: cenare alle 16:30 durante le festività! Dovete sapere che gli americani cenano molto presto (intorno le 18) e saltano il pranzo o lo fanno molto leggero. Durante le festività loro, quindi, non festeggiano a pranzo ma a cena! Cena del thanksgiving , di Natale e di Pasqua! Essendo un giorno di festa si mangia e si cucina un po’ di più e per questo si inizia prima ! Alle 16:30!!!

Un episodio bello: il Natale direi, perché abbiamo fatto il giro dei parenti al mattino e poi siamo rientrati per pranzare col tacchino! Un vero Natale irlandese, ci siamo fatti dei regali ed anche i parenti mi avevano dato dei pensierini
Un episodio brutto: non posso dire di aver vissuto un episodio brutto, però diciamo che forse ho vissuto l’esperienza “ragazza di campagna arriva in città”, cioè ho visto per la prima volta degli homeless dormire per strada e a San Patrizio, alle 4 (del pomeriggio!!), un uomo completamente ubriaco, cacciato fuori da un pub ed arrestato dalla polizia.
Un episodio assurdo: giuro, non ho fatto apposta ma ho buttato le bucce di arancia o limone che la madre stava facendo macerare per la Christmas Cake, io ho visto delle bucce in una ciotola, sul bancone, non avevo proprio idea! C’è rimasta malissimo ed ha dovuto fare tutto da capo!

L’episodio più bello? Sicuramente il roadtrip da Madison fino a Yellowstone con tre pazze. Una meraviglia.
L’episodio più brutto è stato un periodo un po’ duro con la madre della famiglia. Non tutto è rose e fiori e spesso ci sono delle discussioni, ma ti fai le ossa e vai avanti. Assurdo? La notte di Halloween quando ci imbattemmo in un giocatore di football americano. Gli abbiamo dato un passaggio in Uber. In realtà la notte di Halloween in sé negli USA è bellissima. Una pazzia dietro l’altra.
A chi consiglieresti questa esperienza?

Consiglio questa esperienza a tutte le persone curiose, persone che si sappiano adattare, a cui piace buttarsi in un’esperienza nuova, o che non si sono mai buttate ma vorrebbero farlo per “uscire dal proprio guscio”. Sarà un’esperienza indimenticabile!

Consiglio questa esperienza a tutti coloro che voglio uscire dalla monotonia, che vogliono un po’ di carica e un cambiamento. A coloro che vogliono mettersi alla prova e andare alla ricerca di se stessi. A coloro che vogliono imparare una nuova lingua e una nuova cultura. A coloro che hanno il sogno americano, la grande mela. A coloro che vogliono diventare persone nuove.

Tenendo presente che la mia esperienza è ormai di vent’anni fa, quindi vuol dire nessuno smartphone o cellulare, per me non è stata solo un’occasione per migliorare l’inglese ma anche un’esperienza di vita perché comunque ho imparato a prendere decisioni in autonomia senza chiedere prima consiglio alla famiglia, cosa che avrei fatto stando a casa. Secondo me è ancora molto valida per chi vuole veramente migliorarsi in una lingua perché quando ti cali in una realtà dove tutto ti parla in inglese (in questo caso), è molto più facile apprendere ed ampliare il vocabolario di tutte quelle parole di uso comune che non apprendi a scuola o in un corso. Penso che sia fattibile anche per chi, anche non fresco di scuola, si ritrova magari in un periodo di cambiamento e vuole migliorare una lingua oppure sta valutando se andare a vivere all’estero.
Le uniche cose a cui starei attenta sono:
– ubicazione, se come me devi dipendere dalla famiglia per gli spostamenti ci sono più contro che pro. Altra cosa: se il paesino dove vai a vivere non offre molto e devi farti un’ora di autobus per qualsiasi cosa questo vuol dire una maggiore spesa per te e minore libertà di movimento. Per esempio, in teoria la famiglia ti può chiedere di rientrare in settimana, che so, alle 22 ma se tu abiti ad 1 ora dalla civiltà e finisci le tue mansioni alle 19 in teoria hai 3 ore libere la sera, ma in pratica te ne resta 1.
– scopo della famiglia, che le realtà possono essere tante. C’è chi era in una famiglia che prendeva l’au-pair per la prima volta, le aveva messo la tv in camera ed aveva un suo bagno privato ed un orario abbastanza limitato ma doveva prendersi cura di un bambino di 3 anni ed una coppia di gemelli neonati e chi era stata assunta da una famiglia che gestiva un b&b e quindi tra i compiti aveva anche quello di pulire/rifare le camere del b&b e condividere il bagno con gli ospiti!

A tutte quelle persone che si sentono un po’ bloccate. A me gli Stati Uniti mi hanno salvato la vita. Mi hanno fatto conoscere lo yoga, che adesso è il mio lavoro. Mi hanno permesso di conoscere gente meravigliosa, di innamorarmi e disinnamorarmi anche. Mi hanno permesso di crescere, di capire davvero cosa volessi e cosa no.
Non sempre è stato facile. Per i due anni che ho vissuto lì mi sono sentita di vivere in una bolla dalla quale non volevo uscire. Ritornare in Italia mi spaventava ed era come una specie di ossessione. Me ne sarei rimasta lì se avessi potuto, però ringrazio il cielo di essere tornata in Europa (perché adesso vivo in Spagna, non in Italia) perché mi permette di stare un po’ più vicino alla mia famiglia, nonostante il Covid. Per lo meno stiamo sullo stesso fuso orario.
Un consiglio che mi permetto di dare nel momento di scegliere la famiglia è quello di non centrare l’attenzione solo sulla zona, per esempio New York o Los Angeles o Florida. Devi scegliere la famiglia. Una zona meravigliosa con una famiglia pessima cancella tutto il bello di New York, so di persone che sono tornate a casa prima del tempo per quell’errore.
Un altro piccolo consiglio è quello di essere adattabili, di sapere che state andando lì a lavorare. Dovete essere responsabili, adattarvi ai contrattempi. Siate persone mature, per favore.
Ringrazio Elisa, Elena, Natalia e Raffaella per averci raccontato la loro storia, dimostrandoci come sia possibile prendersi e portarsi via appena vent’enni per lavorare come Au Pair nel mondo.
Sono state una vera ispirazione.



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Questa è una cosa che mi ha sempre frenato… purtroppo ho dato poco peso alle lingue in gioventù ed ora il tempo manca per far tutto! Però mi sarebbe piaciuta un’avventura del genere! Sicuramente con i miei figli sarò meno chioccia e se troveranno l’occasione, li manderò! Mi avete fatto conoscere un mondo che non ho esplorato! Grazie
Ho studiato lingue e il mio sogno più grande è quello di vivere all’estero. La ragazza alla pari è un’esperienza perfetta per provare a vivere uno stile di vita diverso dal proprio e ambientarsi in un altro paese e cultura. Anche una mia amica l’ha fatto in Spagna e i suoi racconti mi hanno ricordato quelli di Natalia!
davvero importanti queste testimonianze
io non sono molto ferrata nelle lingue ahimè
Davvero molto interessante questo articolo…io non credo di poter rientrare in tale discorso ma lo farò leggere ai miei ragazzi …chissà magari lo troveranno molto utile
Belli questi tipo di articoli dove si mettono a confronto realtà simili ma al contempo diverse tra loro.
Ho vissuto all’estero ma non come au pair. Credo fortemente nel valore formativo di un’esperienza all’estero in cui si portino avanti sia attività lavorative che scolastiche. Queste testimoniane sono molto interessanti e di grande aiuto per chi voglia valutare bene quest’opportunità
Certo se avessi avuto meno anni ci avrei pensato seriamente a fare una esperienza del genere. Ai miei tempi non la conoscevo nemmeno questa possibilità. Devo dire però che mi piacerebbe fare un periodo di lavoro all’estero ma non credo che prenderebbero una nonna au pair. 😁
Credo che trascorrere del tempo all’estero sia un’esperienza che tutti dovrebbero avere la possibilità di vivere. E queste ragazze hanno fatto benissimo a viverla grazie all’opportunità di lavorare come ragazza alla pari.
Maria Domenica
un’esperienza che mi sarebbe piaciuta, peccato ormai non poterla fare, ma non farò perdere l’occasione ai miei figli
io adoro le lingue straniere e ahimè qui in Italia c’è davvero poca occasione per poter fare conversazione! Le storie che ho letto sono tutte molto interessanti. Facendo il ragionamento inverso, ti dirò che con 3 bambini, ci ho pensato spesso ad ospitare una ragazza au pair, unendo l’utile al dilettevole!
Mi piacerebbe tantissimo poter provare un’esperienza au pair, ma purtroppo mi blocca spesso e volentieri il costo dei programmi. So per certo che è una bellissima esperienza e viene confermata da queste esperienze.
Un’ottima opportunità sia per chi presta il lavoro che per chi lo riceve per imparare una nuova lingua. Italia è ancora poco utilizzato.
Ho sempre apprezzato il coraggio delle ragazze au pair, non so se al loro posto sarei riuscita a resistere tanto. So che l’opportunità è grandiosa e puoi fare il rematch ma alla lunga mi sarei stancata. Però per chi è più socievole è sicuramente un’ottima rampa di lancio per imparare una nuova lingua!
Finiti gli studi anche io avevo valutato l’esperienza da Au Pair, ma essendo maschio ammetto che il pre-concetto mi ha un po’ fermato – più che altro per trovare un opportunità lì, più che dei giudizi degli altri. Tuttavia mi sono preparato i bagli e sono partito comunque in una hosting house. Esperienza diversa ma che ai fini linguistici mi ha ribaltato totalmente dovendo parlare in inglese h24. Un’esperienza che consiglio a tutti di fare.
E’ il caso di dire….prendere due piccioni con una fava. Una bella opportunità per le giovanissime
E’ un’esperienza che io non ho fatto ma una delle mie migliori amiche sì ed ahimè per lei è stata un incubo. Viveva al pari di Cenerentola per come la trattavano ed è tornata davvero scossa…
Eh, bello, bellissimo! Io sono stata 6 settimane a Brighton nel 2006, non come ragazza alla pari, ma per migliorare il mio Inglese in una scuola per stranieri, ospite presso una famiglia.
Trovarmi sola a dover comunicare con una lingua che non è la mia è stato fortificante.
Probabilmente una delle esperienze più toste e importanti della mia vita.
In sincerità devo dirti che se ora avessi avuto 20 anni, e non 41 e con 2 figli, l’avrei fatta la ragazza au pari in Francia magari per imparare meglio la lingua ma anche per aprirmi meglio al mondo…
Quanto vorrei essere stata informata di queste agenzie quando ero ragazza, invece sono partita all’avventura come hostess di nave. Però sto facendo delle ricerche per mia nipote e il tuo articolo ci è di molto aiuto.
Grazie per aver esposto così chiaramente e sin nei minimi dettagli come realmente sia l’esperienza au pair. Ne ho tanto sentito parlare nel periodo in cui frequentavo l’università e sinceramente era una delle opzioni che mi ero posta se non avessi trovato subito lavoro, per poter visitare un luogo lontano da casa e respirarne fino in fondo la vera essenza. Di certo sarà una delle esperienze che suggerirò alle mie figlie.
Wow che interessanti queste esperienze e come mi pento di non averla vissuta anche io un’esperienza da Au pair, trovare lavoro presto, a volte, non è un vantaggio. Mi resta comunque la voglia di andare a vivere all’estero.