Arrivata in Australia ero sempre io, sempre trentenne con la pubblicità di Clear blue che partiva alla fine di ogni video YouTube, eppure era cambiato il contesto. Qualche settimana e lavoravo malgrado i lunghi mesi di stop in madre patria.
Non ero stata io il problema e dentro lo sapevo, lo sapevo perché avevo iniziato a lavorare a sedici anni e dai venti non avevo più smesso. Ero finita per l’Italia perché sposata e in età da figli, troppo grande per essere sfruttata palesemente, troppo vecchia per un apprendistato a due lire, troppo formata per uno stage. Finita come possono sentirsi finiti i cinquantenni messi alla porta, le donne che tornano alla carica dopo la maternità e trovano il vuoto o quelli a cui mancano manciate di anni per la pensione e vengono trattati da inutili rottami.
Ad alcuni di noi, per motivi diversi, in Italia fanno pensare che i giochi siano finiti ma non è così. Siamo forza lavoro e spostiamo le montagne.
Ritrovata la mia dignità, in Australia ho offerto un pranzo al marito con i miei primi cinquanta dollari e non ho più smesso di lavorare, guadagnare e macinare chilometri, in senso figurato o letterale che sia. All’università ci sono tornata, scoprendo che studiare a trent’anni non è come farlo da neo-ventenne. Ho rinunciato a tanto, lavorando anche fino a 60 ore settimanali perché i soldi non c’erano, ma ho ottenuto tutto quello che cercavo e di più.
Straniera, con una padronanza della lingua non perfetta, al secondo anno ero tra le poche a lavorare nel proprio settore. Ho vinto premi, parlato in pubblico per motivare gli altri e ogni volta che mi guardavo indietro c’era il dolore di vivere lontana ma anche la soddisfazione della strada fatta.
Le ingiustizie nel mio estero ci sono state e anche le sfortune. Mi rivedo chiusa in bagno, a piangere nel ristorante dove lavoravo a Melbourne dopo che il titolare mi aveva fatta sentire niente, spaventata mentre ero a casa con la gamba rotta quando ci servivano i soldi o schiacciata dal lavoro quando, una volta tornata in Scozia per studiare, c’era da impazzire per le bollette e il mutuo italiano ancora a gravare sulla testa.
Ci sono state tante rinunce fatte ma oggi conto anche le mie fortune, grata, e mi atterrisce pensare che avrei potuto accontentarmi di una vita così come l’avevo pensata quando avevo meno conoscenza del mondo, specie di quello al di fuori dell’Italia.
Oggi ho un lavoro che potrei fare in molti paesi e una voglia matta di tornare dai miei ogni volta che posso ma vivere in Italia non riesco proprio a prenderlo in considerazione.
Perché all’estero ero la stessa che ero in Italia ma ho avuto così tanto di più e questo non posso dimenticarlo né perdonarlo,
Dall’Italia io mi sento tradita.